Numero 5 – C’era una volta… la formula esecutiva.
C’era una volta il «Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti”.
C’era un volta la «formula esecutiva» che la riforma del processo civile (D. Lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022, in attuazione della Legge Delega n. 206 del 26 novembre 2021) ha definitivamente cancellato, abolendo così di fatto il concetto di titolo esecutivo documentale nel nostro ordinamento.
Fino ad oggi, per intraprendere un’esecuzione forzata, non era sufficiente il solo titolo esecutivo in senso sostanziale ma, laddove rappresentato da una sentenza, da altro provvedimento dell’autorità giudiziaria, oppure da un atto ricevuto da notaio o altro pubblico ufficiale, occorreva che lo stesso, ai sensi dell’art. 475 c.p.c., fosse munito della “sacrale” formula esecutiva, del “comandiamo” rilasciato, per un’unica volta, in calce alla copia conforme all’originale «soltanto alla parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento … con indicazione in calce della persona alla quale è spedita».
Frutto di un “retaggio storico”, di un’ “amministrativizzazione” dell’esecuzione forzata attraverso un (inutile) formalismo, la sua utilità e importanza avevano iniziato a vacillare a seguito di sentenze della Corte di Cassazione (cfr., per esempio, Cass., 14.11.2013, n. 25638) che precisavano come la spedizione in forma esecutiva non incidesse sul diritto di procedere ad esecuzione forzata.
Quest’ultimo orientamento aveva infatti avuto modo di precisare che, se un atto ha efficacia esecutiva, la mantiene anche se il titolo in senso documentale manca della formula esecutiva, potendo ciò costituire tutt’al più una irregolarità da farsi valere con l’opposizione agli atti esecutivi nel termine breve di venti giorni dalla conoscenza legale dell’atto, ex art. 617 c.p.c. (Cass., 12.02.2019, n. 3967).
Pertanto, possiamo affermare che, dopo il 28 febbraio 2023, tramonterà un’era e il novellato art. 475 c.p.c. prevederà che «le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell’autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’articolo 474, per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione, o per i suoi successori»dovranno unicamente«essere formati in copia attestata conforme all’originale, salvo che la legge disponga altrimenti».
Conseguentemente viene abrogato l’intero art. 476 c.p.c., che disciplina(va) le modalità per il rilascio di un’ulteriore copia in forma esecutiva attraverso il ricorso «al capo dell’ufficio che l’ha pronunciato, e negli altri casi al presidente del Tribunale nella cui circoscrizione l’atto fu formato» e, conseguentemente, impegnava cancellerie e magistrati, le cui risorse potranno essere meglio impiegate.
Viene modificato l’art. 479 c.p.c. con la conseguenza che «se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata [dovrà] essere preceduta dalla notificazione del titolo in copia attestata conforme all’originale e del precetto».
Attestazione di conformità che, per i titoli di formazione giudiziale, potrà essere effettuata direttamente dal difensore della parte, tramite estrazione dal fascicolo telematico secondo le regole già presenti nel nostro ordinamento e in un’ottica di razionalizzazione inserite dal legislatore della riforma nelle disposizioni di attuazione del c.p.c. (Titolo V-ter, Disposizioni relative alla giustizia digitale).
Unico neo di questa Rivoluzione Copernicana dell’esecuzione forzata (il cui sistema di efficienza non gira più intorno alla formula esecutiva), possiamo riscontrarlo nella disciplina transitoria che ha previsto, all’art. 35 comma 8 D.lgs 149/2022, come novellato dalla Legge di bilancio 2023, che «Le disposizioni di cui all’articolo 3, comma 34, lettere b), c), d) ed e), – pertanto le sopra analizzate norme di cui agli artt. 475, 476, 478 e 479 c.p.c. come modificate – si applicano agli atti di precetto notificati successivamente al 28 febbraio 2023».
Peccato che la norma sul precetto (art. 480 c.p.c.) non si stata toccata dalla riforma e che le norme che riguardano la formula esecutiva non abbiano nulla a che vedere con la redazione dell’atto di precetto (la cui formazione e notificazione, per giurisprudenza costante, neanche coincide con la “instaurazione” di un procedimento esecutivo, posto che l’espropriazione forzata inizia col pignoramento (art. 491 c.p.c.).
Pertanto, ci domandiamo perché riferire una modifica così importante ad un atto (il precetto) che con tale modifica non ha in realtà nulla a che vedere.
Probabilmente, il risultato sperato era quello di individuare nell’atto di precetto da notificare il limite temporale dopo il quale il titolo esecutivo per la successiva esecuzione (senza precetto non ci dovrebbe essere esecuzione) non necessitasse più della «formula esecutiva». Ma il risultato sperato, così come normativamente realizzato, fa permanere in chi scrive il dubbio se le nuove norme debbano trovare applicazione anche con riferimento a titoli formati prima del 28 febbraio 2023, stante che la regola generale di cui al comma 1 del’art. 35 è quella che le disposizioni della riforma «hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data».
In altre parole, l’aver riferito l’entrata in vigore della abolizione della formula esecutiva ad un atto, quale quello di precetto, che nulla a che vedere con la formazione del titolo (che dovrà essere privato della formula esecutiva), potrebbe portare qualcuno a sostenere che tale “sacralità” continui ad essere necessaria, in ragione della regola generale di cui all’art. 35 comma 1, ai procedimenti instaurati prima del 28 febbraio 2023.