Nuova azione di classe in Italia a tutela degli interessi collettivi dei consumatori

Marzo 27, 2023

La nuova “class action europea”: tratti fondamentali e criticità del d.lgs. 10 marzo 2023, n. 28 che recepisce la Direttiva 2020/1828 (UE).

(di Fabio De Dominicis)

1) PREMESSA. LE CRITICITÀ DEL “DOPPIO BINARIO”.

Il 23 marzo 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il d.lgs. del 10 marzo 2023, n. 28 volto a recepire la Direttiva 2020/1828 (UE) (trovate qui tutto l’iter legislativo).

La scelta del Legislatore italiano è stata quella di prevedere un doppio binario di tutela collettiva: infatti, piuttosto che intervenire chirurgicamente sulla disciplina prevista dalla L. n. 31/2019 (c.d. “Riforma Bonafede”, su cui si rinvia ad un precedente articolo pubblicato su questo sito) rendendola conforme alla Direttiva, il Legislatore ha preferito introdurre una nuova azione di classe (rectius, rappresentativa), nuovamente confinata al solo codice del consumo agli artt. da 140 ter fino a 140 quaterdecises.

Prima di svolgere alcune brevissime riflessioni sul recepimento in questione, frutto di valutazioni svolte in diverse occasioni di dibattito dottrinale, si rileva il primo e più evidente profilo di criticità: in Italia – almeno fino al 19 maggio 2031, salvo atti interruttivi della prescrizione – avremo la compresenza di ben tre diverse discipline di tutela collettiva, tra azioni di classe e azione rappresentativa:

a) quella di primo conio, dettata dall’art. 140 bis cod. consumo, la quale continuerà ad applicarsi per tutte le condotte illecite poste in essere sino al 19 maggio 2021, data di entrata in vigore della l. 31/2019;

b) quella generale, inserita nel codice di rito dalla Riforma Bonafede, l. n. 31/2019, applicabile alle condotte illecite poste in essere dal 19 maggio 2021;

c) quella prevista agli artt. 140 ter ss., cod. consumo, in virtù del recepimento della Direttiva 2020/1828 (UE), che si applica, ai sensi dell’art. 4, comma 1, a decorrere dal 25 giugno 2023 (al comma 2 si specifica che l’art. 140 duodecies cod. consumo – quello afferente l’interruzione della prescrizione e l’impedimento della decadenza – si applica alle azioni volte ad ottenere provvedimenti compensativi relative a violazioni verificatesi a partire dal 25 giugno 2023).

Taluna dottrina (in questo senso R. Donzelli, audizione informale dinanzi alle Commissioni riunite II e X tenuta in data 11 gennaio 2023) ha già evidenziato come la soluzione da preferire sarebbe stata quella di operare sulle disposizioni presenti nel codice di procedura civile, mediante interventi mirati volti a rendere conformi le nostre previsioni generali ai dettami della Direttiva.

Talaltra dottrina (G. De Cristofaro, audizione informale dinanzi alle Commissioni riunite II e X tenuta in data 11 gennaio 2023) ha ritenuto che l’assenza nella legge di delegazione europea  (l. n. 127 del 2022) di criteri specifici di recepimento non ha consentito al Governo altra attività che quella di aderire in maniera piana e pedissequa al testo della Direttiva, recependo la normativa nel codice del consumo (senza modificare il codice di procedura civile, per evitare di incorrere nell’illegittimità per eccesso di delega sindacabile dalla Corte Costituzionale).

Sempre sotto un profilo generale, il Legislatore nel tentativo di evitare problemi di coordinamento e coesistenza tra le due distinte procedure collettive, ha sancito all’art. 140 ter, comma 2, secondo alinea, cod. consumo, che, a fronte di condotte tenute da professionisti lesive degli interessi collettivi dei consumatori (in una delle materie elencate nel nuovo Allegato II septies del cod. consumo), gli enti legittimati (si pensi, per esempio, alle associazioni dei consumatori) non possono agire con l’azione di classe prevista dal codice di procedura civile, restando fermi i rimedi contrattuali ed extracontrattuali comunque previsti a favore dei consumatori.

Pertanto, mentre le associazioni dei consumatori potranno esperire unicamente la procedura collettiva speciale appena recepita, i singoli consumatori avranno la possibilità di avvalersi dell’azione di classe contemplata dal codice di rito.

Entrando sinteticamente in profili di dettaglio, si rileva quanto segue.

L’istituto di nuovo conio (“azione rappresentativa”) si differenzia dall’ “azione di classe” (ex Riforma Bonafede) sotto plurimi profili, pur mantenendo un minimo comun denominatore (infatti, l’art. 140 novies cod. consumo rinvia agli articoli da 840 quater a 840 terdecies e all’art. 840 quinquiesdecies c.p.c., in quanto compatibili).

2) LEGITTIMAZIONE AD AGIRE.

In punto di legittimazione ad agire, il decreto di recepimento esclude la legittimazione ad agire dei singoli consumatori, anche se aggregati in comitati appositamente costituiti, preferendo una legittimazione ad agire istituzionale e preventiva in capo ad enti particolarmente qualificati.

Tali enti, ai sensi dell’art. 140 quater cod. consumo, sono:

a) le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’art. 137 cod. consumo;

b) gli organismi pubblici indipendenti nazionali di cui all’art. 3, n. 6) del regolamento 2017/2394 (UE);

c) gli enti designati in un altro Stato membro e iscritti nell’elenco pubblicato dalla Commissione europea.

Legittimati a proporre le azioni rappresentative transfrontaliere sono gli enti e le associazioni dei consumatori e degli utenti in possesso dei requisiti necessari per l’iscrizione nella sezione speciale dell’elenco di cui all’art. 137 del cod. consumo.

Riflessioni sulla legittimazione ad agire configurata dalla nuova disciplina.

a) Legittimazione attiva ristretta agli enti legittimati.

In primo luogo, ammesso e non concesso che la legittimazione ad agire riservata esclusivamente in capo ad enti particolarmente qualificati garantisca l’equilibrio tra evitare l’abuso del contenzioso, da un lato, e migliorare la tutela degli interessi collettivi dei consumatori, dall’altro, resta comunque il fatto che escludere la legittimazione individuale dei singoli consumatori finisce per abbassare il livello di protezione dei consumatori, contraddicendo lo scopo proclamato dall’art. 1 della Direttiva 2020/1828 (UE) di mirare «anche a migliorare l’accesso dei consumatori alla giustizia».

Dunque, non si comprende perché il Legislatore italiano abbia escluso in radice, tanto la legittimazione individuale quanto quella dei comitati, nonostante il combinato disposto dei Considerando 11 e 28 e dell’art. 4, comma 6, della Direttiva prevedesse la possibilità di designare enti legittimati ad hoc per specifiche azioni rappresentative nazionali (Considerando 28: «Gli Stati membri dovrebbero poter designare anticipatamente gli enti legittimati allo scopo di proporre azioni rappresentative. La presente direttiva non dovrebbe incoraggiare gli Stati membri a introdurre la possibilità di designare enti legittimati ad hoc. Tuttavia, ai fini delle azioni rappresentative nazionali, gli Stati membri dovrebbero anche, o in alternativa, essere in grado di designare enti legittimati ad hoc per un’azione rappresentativa nazionale specifica. Dovrebbe essere possibile che tale designazione sia effettuata dall’organo giurisdizionale o dall’autorità amministrativa aditi, anche mediante accettazione, se del caso. Tuttavia, ai fini delle azioni rappresentative transfrontaliere sono necessarie garanzie comuni. Non dovrebbe pertanto essere consentito agli enti legittimati designati ad hoc di proporre azioni rappresentative transfrontaliere». Similmente, l’art. 4, comma 6, esordisce stabilendo che «Gli Stati membri possono designare un ente come ente legittimato ad hoc al fine di intentare una particolare azione rappresentativa nazionale, su richiesta di tale ente», ma conclude con una proposizione che di fatto taglia fuori la maggior parte dei potenziali comitati costituiti ad hoc, richiedendo, anche per questi ultimi, i requisiti «previsti dal diritto nazionale per la designazione di enti legittimati»).

Tra l’altro, tale soluzione non tiene conto dell’esperienza pratica dell’azione di classe italiana dal 2010 ad oggi, dove poco più del 20% del contenzioso complessivo è stato incardinato da singoli consumatori e da comitati, per lo più in controversie relative a illeciti a rilevanza locale, rispetto ai quali difficilmente l’azione sarà esercitata da associazioni nazionali.

È vero che, per coerenza e armonia sistematica, è giusto che il consumatore, dinanzi all’inerzia degli enti legittimati, sia ancora legittimato ad agire tramite l’azione generale (Riforma Bonafede) prevista dal codice di rito: tuttavia, si crea così una irragionevole disparità di trattamento dal momento che le due azioni non presentano una disciplina totalmente sovrapponibile; basti pensare, ad esempio, alla diversa disciplina in tema di prescrizione di cui si dirà a breve.

b) Riferimento a diversi registri e a diversi requisiti.

Inoltre, sempre in riferimento alla legittimazione attiva, dall’analisi delle discipline dell’azione rappresentativa e dell’azione di classe emergono condizioni di accesso al giudizio che presentano tinte diverse, infatti:

  • per le azioni rappresentative domestiche, dobbiamo guardare ai criteri di cui all’art. 137 cod. consumo, secondo quanto stabilito dall’art. 140 quater consumo, e il relativo registro è tenuto presso il Ministero delle imprese e del made in Italy;
  • per le azioni rappresentative transfrontaliere, dobbiamo riferirci ai criteri previsti dall’art. 140 quinquies e il relativo elenco (contenuto all’interno della sezione speciale prevista dall’art. 137 cod. consumo) è tenuto presso il Ministero delle imprese e del made in Italy;
  • per le azioni di classe di cui al codice di rito, abbiamo ulteriori criteri, ovvero quelli contenuti nel d.m. n. 27 del 17 febbraio 2022 a cui rinvia il coordinato disposto degli artt. 840 bis, 840 sexiesdecies, 196 ter att. c.p.c., e il relativo registro è tenuto presso il Ministero della giustizia.

L’analisi comparata dei criteri contenuti nelle tre diverse discipline conduce al paradosso secondo cui vengono richiesti criteri molto più stringenti per le azioni domestiche piuttosto che per le azioni transfrontaliere (le quali, invece, richiederebbero verosimilmente attendibilità e competenze maggiori), con il risultato inverosimile di rendere più difficile l’accesso all’azione rappresentativa domestica per le associazioni italiane rispetto alle equivalenti estere.

c) La legittimazione delle Autorità pubbliche indipendenti.

Infine, va osservato come il conferimento della legittimazione ad agire anche alle autorità pubbliche indipendenti nazionali di cui all’articolo 3, numero 6), del regolamento (UE) 2017/2394, che facciano richiesta di essere legittimate, appare una scelta dubbia sul piano della legittimità costituzionale, poiché tali soggetti sono titolari di autonomi poteri sanzionatori pubblici nei confronti della parte professionale.

Pertanto, potrebbe verificarsi lo scenario in cui una Authority – la quale ha come compito istituzionale quello di sovraintendere, con un accentuato grado neutralità, al rispetto delle regole e al corretto funzionamento del mercato afferente al suo specifico settore di competenza – irroghi, prima, una sanzione amministrativa pecuniaria a un’impresa ritenuta responsabile di violazione delle regole di quello specifico settore, ed eserciti, poi, un’azione rappresentativa follow-on sulla base di un provvedimento sanzionatorio dalla medesima irrogato.

Quanto appena rilevato sembra porsi in contrasto col principio di parità delle armi e di uguaglianza delle parti davanti ad un giudice terzo e imparziale previsto dall’art. 111 della Costituzione.

3) LEGITTIMAZIONE PASSIVA.

Quanto alla legittimazione passiva, l’azione rappresentativa può essere promossa contro i professionisti, intesi come «qualsiasi persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, agisce, anche tramite un altro soggetto che opera in suo nome o per suo conto, per fini relativi alla propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale».

4) AMBITO OGGETTIVO DI APPLICAZIONE.

Passando all’ambito di applicazione oggettivo, l’azione rappresentativa, a differenza dell’azione di classe, è circoscritta alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori a fronte di violazioni delle disposizioni contenute nelle sessantotto materie di derivazione unionale di cui al nuovo Allegato II septies al cod. consumo.

Il Legislatore interno non si è avvalso della facoltà prevista dal Considerando n. 18 della Direttiva, secondo il quale «[g]li Stati membri dovrebbero rimanere competenti a rendere applicabili le disposizioni della presente direttiva a settori aggiuntivi rispetto a quelli che rientrano nel suo ambito di applicazione».

Sarebbe stato più ragionevole estendere la disciplina a tutte le violazioni degli interessi collettivi dei consumatori di cui all’art. 2 del cod. consumo, come già fatto in passato nel recepimento di altre Direttive, senza imporre inopportuni limiti oggettivi.

Ciò avrebbe reso, da un lato, più agevole il lavoro sia per giudici e avvocati nell’applicazione pratica dell’istituto, sia per il Legislatore, esonerato dal defatigante onere di aggiornamento continuo della normativa presente nel ridetto Allegato II septies.

Dall’altro lato, avrebbe evitato l’ennesimo rischio di disparità di trattamento di dubbia legittimità costituzionale, francamente priva di giustificazione, data dal fatto che violazioni degli interessi collettivi dei consumatori afferenti normative di derivazione unionale (contenute nell’Allegato II septies cod. consumo) trovano tutela collettiva nelle forme dell’azione rappresentativa, mentre violazioni degli interessi collettivi dei consumatori afferenti normative di puro diritto interno trovano protezione mediante lo strumento dell’azione di classe prevista dal codice di rito.

5) LA PROCEDURA.

In relazione all’aspetto procedimentale si deve rilevare quanto segue.

Innanzitutto, si osserva come le azioni rappresentative possono essere promosse al fine di richiedere, anche cumulativamente, sia una tutela compensativa (per ottenere una misura volta a ristorare il pregiudizio subito dal consumatore, anche attraverso il pagamento di una somma di denaro, la riparazione, la sostituzione, la riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto o il rimborso del prezzo pagato), sia l’adozione di provvedimenti inibitori (per ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta illegittima del professionista e la pubblicazione del provvedimento, integralmente o per estratto, su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale ovvero la pubblicazione di una rettifica).

Il procedimento è regolato dal rito semplificato di cui al libro secondo, titolo I, capo III quater del c.p.c. introdotto dalla riforma Cartabia, con competenza giurisdizionale attribuita alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo ove ha sede la parte resistente, in ipotesi di convenuto persona giuridica; qualora, invece, il convenuto sia una persona fisica, la competenza giurisdizionale segue l’art. 18 c.p.c.

6) FILTRO (SUPERFLUO) DI AMMISSIBILITÀ DELLA NUOVA AZIONE.

L’art. 140 septies cod. consumo, prevede il filtro di ammissibilità tanto per le azioni rappresentative risarcitorie quanto per quelle inibitorie.

Lo scrutinio afferente l’ammissibilità o meno dell’azione passa dai quattro requisiti previsti per l’azione di classe della Riforma Bonafede ai nuovi sei requisiti.

In particolare, ai sensi dell’art. 140 septies, comma 8, cod. consumo:

«La domanda è inammissibile:

a) quando è manifestamente infondata;

b) se è priva degli elementi necessari ad individuare il gruppo dei consumatori interessati dall’azione rappresentativa;

c) se il tribunale non ravvisa l’omogeneità dei diritti individuali per cui è richiesta l’adozione dei provvedimenti compensativi previsti dall’articolo 140-novies;

d) se, anche a seguito di contestazione del convenuto, risulta che l’ente ricorrente è privo dei requisiti necessari per la legittimazione all’azione;

e) quando l’azione è promossa in conflitto di interessi, in particolare se risulta che il soggetto che ha finanziato l’azione è concorrente del convenuto o dipende da quest’ultimo. In questo caso il giudice solleva anche di ufficio la questione ed assegna all’ente ricorrente un termine entro cui rifiutare o modificare il finanziamento;

f) se l’oggetto sociale dell’ente legittimato che ha proposto la domanda non giustifica l’esercizio dell’azione».

Stante quanto sopra, ci si limita ad osservare come l’esigenza di prevedere un giudizio di ammissibilità non si pone con riguardo alle azioni inibitorie: invero, poiché quest’ultime non richiedono l’adesione dei consumatori al procedimento, un filtro preliminare avrà probabilmente l’unico (e nefasto) effetto di ritardare un giudizio connotato da esigenze di celerità in quanto diretto a prevenire il compimento o la prosecuzione del comportamento illecito.

A ben guardare, ci si può spingere ad affermare che analoghe conclusioni potrebbero valere anche per le azioni rappresentative compensative.

Infatti, se si considera che, da un lato, la legittimazione ad agire è riservata ad enti particolarmente qualificati e che, dall’altro lato, all’interno della struttura “trifasica” del procedimento non ci saranno probabilmente adesioni ante sentenza (unite al fatto che l’atto introduttivo interrompe la prescrizione per tutta la potenziale classe di aderenti), allora pare evidente come venga meno la funzione stessa (di filtro) del giudizio di ammissibilità: di fronte ad un’azione che, per legge, risulta già avere un perimetro di accesso ristrettissimo, il Legislatore avrebbe a quel punto fatto bene ad eliminare qualsiasi filtro per le azioni rappresentative in osservanza ai principi di economicità e proporzionalità nell’impiego delle risorse della giustizia che dovrebbe informare qualsiasi processo alle luce del novellato art. 111 della Costituzione.

7) IL THIRD PARTY FUNDING.

Il cruciale tema del finanziamento del contenzioso da parte di terzi trova riscontro esclusivamente nell’art. 140 septies cod. consumo.

In ossequio al principio della trasparenza, si prevede l’ostensione, nel ricorso introduttivo, dei finanziamenti ricevuti o promessi da parte di terzi, essendo prevista come causa di inammissibilità della domanda l’ipotesi in cui il finanziatore sia concorrente del convenuto o dipenda da quest’ultimo.

In tal caso la normativa prevede che il giudice, anche d’ufficio, assegni all’ente ricorrente un termine entro cui rifiutare o modificare il finanziamento, pena l’inammissibilità dell’azione.

Si tratta senz’altro di un’occasione persa per il Legislatore italiano che, secondo chi scrive, avrebbe potuto cogliere l’opportunità per disciplinare un punto, quello del finanziamento dei terzi, fondamentale per l’esperimento di qualsiasi azione collettiva. Invece, si è preferito sottacere altri aspetti molti discussi del third party funding quali, a titolo meramente esemplificativo, l’obbligo o meno di disclosure del contatto di finanziamento della lite in guisa da consentire al giudice un sindacato sulle clausole in esso contenute;

8) ULTERIORI ASPETTI PROCEDURALI.

a) Procedimento trifasico.

Sempre con riguardo al procedimento, l’art. 140 novies cod. consumo, come poc’anzi accennato, rinvia agli articoli da 840 quater a 840 terdecies e all’art. 840 quinquiesdecies c.p.c., in forza dei quali: il procedimento rimane trifasico, rimane invariato il meccanismo dell’adesione e la previsione del compenso premiale.

Sul punto ci si limita a sottolineare un profilo di mancata corrispondenza tra le prescrizioni contenute nella Direttiva 2020/1828 (UE) e le norme domestiche di recepimento.

Ci si riferisce in particolare al fatto che, a fronte di un articolo 7, comma 6, Direttiva 2020/1828 (UE), secondo il quale gli «Stati membri provvedono affinché gli interessi dei consumatori in azioni rappresentative siano rappresentati da enti legittimati e affinché tali enti legittimati abbiano i diritti e gli obblighi di una parte ricorrente nel procedimento», il procedimento di classe italiano, cui si rinvia, contempla una terza fase nella quale esce di scena il ricorrente (id est, l’ente legittimato nell’azione rappresentativa), e la tutela in sede di accertamento, liquidazione dei diritti degli aderenti, nonché transattiva ed esecutiva degli stessi, viene affidata al rappresentante comune nominato con la sentenza con cui il Tribunale accoglie l’azione tra i soggetti che hanno i requisiti del curatore fallimentare.

Pertanto, si deve concludere per la non compatibilità, con la Direttiva in parola, della normativa di recepimento italiana nella parte in cui prevede che l’ente legittimato possa incardinare e condurre la fase di accertamento e condanna del convenuto nei confronti dell’attore rappresentativo, per poi deputare a un soggetto diverso, il rappresentante comune, la successiva tutela e la rappresentanza di tutti i consumatori aderenti.

b) Le informazioni della classe.

Un ulteriore disallineamento, tra le prescrizioni contenute nella Direttiva e le disposizioni italiane formulate in sede di recepimento, concerne il tema delle informazioni sulle azioni rappresentative, il quale riveste un ruolo centrale nella tutela collettiva, in quanto permette di informare la classe della proposizione di un’azione rappresentativa, della sua ammissibilità, dei contenuti di un provvedimento inibitorio o risarcitorio, nonché del termine e modalità entro cui, eventualmente, esercitare l’opt-in o l’opt-out (a seconda della scelta presa da quel determinato ordinamento tra le due differenti modalità di aggregazione della classe).

Tutto ciò premesso, l’art. 13, comma 3, Direttiva 2020/1828 (UE), prevede un obbligo divulgativo a carico del professionista, e a sue spese, di informare i consumatori interessati dall’azione rappresentativa in merito alle decisioni definitive e alle transazioni approvate, con mezzi appropriati alle circostanze del caso ed entro limiti di tempo prestabiliti compresa, se del caso, una comunicazione individuale a tutti i consumatori interessati.

Viceversa, la normativa domestica non impone alcun obbligo informativo al professionista e risolve l’attività di informazione nella mera pubblicazione, a cura della cancelleria, dell’ordinanza di ammissibilità e del provvedimento inibitorio o condannatorio sul portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, unita alla pubblicazione delle azioni intentate, del loro stato di avanzamento e dei relativi esiti sul sito web degli enti legittimati coinvolti e del Ministero delle imprese e del made in Italy.

c) La prescrizione.

L’art. 140 duodecies cod. consumo recepisce l’art. 16 della Direttiva 2020/1828 (UE) e prevede che il deposito del ricorso introduttivo interrompa la prescrizione e impedisca le decadenze dei diritti di tutti i consumatori potenzialmente tutelabile mediante un’azione rappresentativa compensativa.

d) Misure di coercizione indiretta.

Infine, viene previsto dall’art. 140 terdecies cod. consumo uno strumento di coercizione indiretta per favorire l’adempimento dei provvedimenti inibitori prescritti dall’autorità giudiziaria, stabilendo che il giudice disponga, in caso di inadempimento o semplice ritardo nell’esecuzione, il pagamento di una somma di denaro da 1.000,00 euro a 5.000,00 euro a favore dello Stato. Tale somma verrà riassegnata nella misura del 50% al Ministero della Giustizia per il potenziamento dei servizi e degli uffici e per il restante 50% al Ministero delle imprese e del made in Italy per l’attività di tenuta della sezione speciale dell’elenco previsto dall’art. 137 cod. consumo.

9) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

Adombrata la disciplina, si impongono alcune considerazioni conclusive.

Il Legislatore ha ridefinito contenuti e tratti somatici della tutela collettiva inibitoria e risarcitoria, attraverso la scelta – obbligata o meno – di introdurre un nuovo rimedio collettivo ghettizzato nel codice del consumo, al fianco dello strumento generale previsto con la l. n. 31/2019.

La strada così intrapresa ha rappresentato l’occasione – in un certo senso, mancata – di realizzare un rimedio autenticamente efficace ed efficiente per proteggere il soggetto debole per eccellenza, il consumatore, migliorando – per quanto possibile – il percorso evolutivo intrapreso con la Riforma Bonafede.

Invece, pare essere mancato, oltre che un po’ di coraggio, l’elemento che dovrebbe informare ogni riforma legislativa: la lineare visione d’insieme.

Il Legislatore, dunque, sembra non essersi “allontanato” a sufficienza dalla riforma legislativa per coglierne appieno lo spirito e includerne tutti i tratti nel cono visuale, valorizzando le risultanze empiriche dei primi tredici anni di vita dell’azione di classe.

Un esempio su tutti: ancora, in Italia non sono stati ritenuti maturi i tempi per introdurre un sistema di puro opt-out o, quantomeno, un meccanismo ibrido di coesistenza di opt-in e opt-out in ragione delle caratteristiche dell’illecito (ammontare del singolo credito risarcitorio e/o agevole individuazione o meno dei soggetti danneggiati da parte del convenuto), nonostante il trend europeo sia di opposta direzione.

Ci deve essere la giusta distanza per il pittore dalla tela e dalla sua musa ispiratrice per realizzare un’opera d’arte: allo stesso modo, se ci si avvicina troppo, l’attenzione si canalizza sui dettagli e l’immagine d’insieme sfoca, e con essa i punti cruciali della questione e i tratti strategici dell’operazione.

Pregi e difetti sfumano per eccessiva immersione e prossimità con lo strumento giuridico da recepire.

Il risultato conclusivo è poco soddisfacente.

Da un lato, imprese, lavoratori e, solo saltuariamente, i consumatori possono avvalersi di uno strumento piano, lineare, come quello elaborato dalla L. 31/2019 (Riforma Bonafede), svincolato sia dall’interesse delle varie associazioni sia dall’angustia degli stretti lacci della tipizzazione soggettiva e oggettiva.

Dall’altro lato, prendendo in prestito l’immagine utilizzata in un articolo pubblicato in precedenza in questo sito, il complesso mosaico fin qui delineato comporta l’ingresso sulla scena di pressanti problematiche di legittimità costituzionale, suscitate dalle potenziali difformità di trattamento che innesca la nuova azione consumeristico-rappresentativa.

Da ciò, la novella costringerà gli stakeholders – e in particolare la giurisprudenza – a un notevole sforzo ermeneutico teso a fornire una ricostruzione completa e coerente del variegato quadro ordinamentale, per scongiurare il paradosso di deprimere, piuttosto che innalzare, l’effettività della tutela dei consumatori.

Avv. Fabio De Dominicis

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